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Sulla Utilità dei Progetti Pilota nel BIM

Sulla Utilità dei Progetti Pilota nel BIM

Vi è, in Italia, una fiducia diffusa nell'utilità dei Progetti Pilota che riguardino il Building Information Modeling (BIM), benché, in realtà, spesso essi assumano le vesti di Casi Dimostrativi, con evidenti intenzioni apologetiche che tendono a far risaltare pregiudizialmente i benefici dell'innovazione.

In questi ultimi casi, infatti, accade che operatori esperti nelle proprie discipline inizino a lavorare cogli strumenti digitali associandoli ai metodi analogici che sino a quel momento erano ovviamente i soli invalsi, traendone spunti interessanti, ma, sfortunatamente, non potendone comprendere appieno il significato ultimo, agendo in Ecosistemi non pienamente digitalizzati né muovendosi secondo razionalità digitali.

Non a caso, alcuni schemi di certificazione delle organizzazioni digitalizzate, così come alcune linee guida in materia, di fatto, depotenziano immediatamente una ipotesi che si snodi esclusivamente per singoli eventi.

Verrebbe, infatti, con gusto del paradosso, da dire che il miglior Progetto Pilota sia quello scaturente da anni di pratica del tema, conseguito dopo che una intera organizzazione (più probabilmente di Committenza, data la minor variabilità degli assetti rispetto alla consortilità temporanea dei Fornitori) abbia interamente digitalizzato i propri processi e quelli dei propri Fornitori (addirittura, talvolta, dei propri Committenti o Clienti).

E' palese che, in ogni Settore Economico, l'introduzione di strumenti digitali, in assenza di culture e di assetti coerenti con l'essenza della Digitalizzazione, conduca a risultati assai modesti: ecco perché le eventuali obbligazioni in materia di BIM dovrebbero riguardare le organizzazioni in quanto tali, prima ancora che i singoli interventi o le singole opere in cui esse, a vario titolo, sono coinvolte.

Tra l'altro, è bene dire che molte delle migliori esemplificazioni disponibili sul piano internazionale eccellono, in ispecie, nella qualità della comunicazione, ma se  fossero viste, andreottianamente, a distanza ravvicinata, se ne evincerebbe spesso la parzialità dei risultati ottenuti e la specificità delle condizioni in cui sono stati sviluppate (dalla presenza di supporti governativi eccezionali alla speciale autorità della funzione committente nel caso in questione).

Alcune di esse, peraltro, derivano da intese tra più Committenti omogenei che hanno assieme capitalizzato progressivamente le proprie esperienze, come per i presidii ospedalieri, o da Mega Programmi pluridecennali infrastrutturali in cui è avvenuto un identico processo di maturità, anche dislocando le persone da un Programma a un altro.

Sotto questo profilo, perciò, si potrebbe legittimamente porre in dubbio l'esistenza dei Progetti Pilota, considerati come avanguardie esemplari, ma decontestualizzate, preferendovi la costituzione di comunità di pratica che assicurino la formazione, in tempi ragionevoli, di un sapere collettivo, esattamente come si comportano le Knowledge-Based Organization, perché non sono certo i resoconti entusiastici a fini promozionali a risultare decisivi per una implementazione seria dei processi digitalizzati.

Per questa ragione, un vero Progetto Pilota non dovrebbe essere tale, riguardando una sola circostanza, bensì un Programma Pilota a livello aziendale con orizzonte a medio periodo, includendo diversi Progetti correlati.

Occorre, anzitutto, affermare che tali Progetti, comunque, posseggono una scarsa validità se non sono preceduti da rigorosi protocolli che ne consentano la tracciabilità e la riproducibilità, al fine di fornire alla maggioranza degli operatori elementi significativi e rappresentativi: delle criticità, ancor prima che dei successi.

In secondo luogo, questi Casi Esemplari dovrebbero essere dotati di metriche in grado di restituire il grado di ritorno sull'investimento o, almeno, consentire di effettuare operazioni di benchmarking nei confronti di situazioni similari gestite analogicamente, tradizionalmente. Non si dimentichi, infatti, che, nelle Amministrazioni Pubbliche, la Digitalizzazione ha già consentito sprechi ingiustificati e che nelle organizzazioni private i decisori pretendono giustamente di poterne stimare il ROI.

In ogni caso, che cosa significa davvero impostare un Progetto Pilota?

In realtà, a prescindere dalla loro utilità, sempre da dimostrare, queste iniziative, in realtà, incontrano due seri ostacoli:

1) in primo luogo, per quanto ciò possa apparire come un cortocircuito logico, l'efficacia del metodo e degli strumenti dovrebbe essere misurata, come già commentato, in un contesto organizzativo, aziendale, in cui tutti i processi rispondano a una autentica cultura digitale;

2) in seconda istanza, il Caso Studio dovrebbe essere promosso dalla Committenza e riuscire a coinvolgere direttamente non soli i Fornitori principali (di Progettazione, di Esecuzione o di Gestione), ma pure i primi due o tre livelli di Sub Fornitura; cosa allo stato attuale, in Italia, difficilmente verosimile.

Si ricorda, infine, che se una Grande Committenza o Proprietà Immobiliare promuovesse contemporaneamente diversi tentativi sperimentali, sia sul Project e sul Programme Management sia sull'Asset e sul Property Management in assenza di una Linea Guida Aziendale che ne garantisca la omogeneità di impostazione, i risultati sarebbero, comunque, di scarsa rilevanza: in buona sostanza, essa otterrà una collezione eterogenea di  «modellini», inutilizzabili o scarsamente utilizzabili ai fini gestionali.

Per prima cosa, occorre riconoscere come, specialmente a opera della Domanda Pubblica, non tanto Progetti Pilota, quanto sforzi estemporanei di introdurre il BIM negli appalti pubblici di servizi e di lavori solo raramente siano stati configurati in maniera corretta e, di conseguenza, abbiano dato origine a esiti soddisfacenti.

In molte circostanze, tali prove si sono concretate in richieste confusionarie, talvolta irrealizzabili, talora fonti di contenzioso, anche perché le fonti utilizzate, prevalentemente di matrice britannica e statunitense, non sono state sufficientemente comprese né distinte.

Comunque sia, ben raramente sono stati posti a base di gara Capitolati Informativi, ovvero Requisiti Informativi, sufficientemente dettagliati e computazionali e, di conseguenza, le risposte contenute nelle offerte tecniche, come al solito, sono apparse tese più a impressionare le commissioni giudicatrici che non a comunicare una operatività adeguata e consapevole da applicare realmente nell'esecuzione del contratto.

Oltre alle gare di appalto, la cui analisi critica mostrerebbe sicuramente alcune esperienze virtuose, ma anche molti orrori, oltre che richieste contra legem, in molte delle Commesse in cui il BIM può dirsi presente la maggiore difficoltà è risieduta nell'Ambiente di Condivisione dei Dati, ovverossia nel Common Data Environment, che rimane tuttora prevalentemente un Ambito di Gestione di Documenti Digitalizzati.

Che questo accada è scontato, proprio perché l'impronta sistemica del BIM richiede, appunto, un approccio collaborativo di coordinamento dei flussi infomativi, del tutti alieno dalle prassi e dalle mentalità correnti.

In più, il grado di coerenza dei dati e di interoperabilità dei Modelli Informativi non è certamente completo: d'altronde, il dato alfa numerico non era gestito correttamente, per molti versi, nemmeno in ambiente analogico: perché dovrebbe accadere diversamente in quello digitale, da molti, peraltro, improvvidamente identificato esclusivamente con quello geometrico dimensionale tridimensionale?

Non vi ha dubbio, perciò, che la qualità dell'Ecosistema Digitale in cui il Committente impone a se stesso e agli altri Soggetti di muoversi sia la maggiore cartina da tornasole per valutare il grado di maturità del Progetto Pilota, anche perché in esso si comprende il Valore del Dato, si può fare Business Intelligence, ammesso che convenga attuarla...

Per effetto di queste considerazioni, un Progetto Pilota dovrebbe vedere in azione una Committenza pienamente padrona dei contenuti dell'opera o dell'intervento di cui commissiona la Progettazione, la Realizzazione e la Gestione, nonché capace di esprimerli computazionalmente.

Non sembra che questo presupposto possa essere facilmente rispettato nel Nostro Paese in termini estensivi e, dunque, al massimo, attualmente si potrebbe disporre di qualche primo tentativo degno di interesse, in cui una buona prassi attuata da parte di Committenti e dei loro Consulenti abbia convinto i Fornitori a impostare il processo digitalizzato sistematicamente e abbia evidenziato alcune opportunità di riduzione degli sprechi e delle inefficienze.

E', però, evidente che queste Committenze che potremmo definire avanzate dovrebbero trarre dai primi esempi elementi da generalizzare, dovendo, oltre a tutto, muoversi in presenza di un contesto dell'Offerta necessariamente variabile, in cui difficilmente gli stessi operatori possano ricorrere con elevata frequenza nei confronti di un Singolo Committente.

Delle due l'una: o Grandi Committenti riescono a creare una Comunità di Fornitori (e di Sub Fornitori) oppure Grandi Fornitori possono proporre ai Committenti Modelli di Gestione di Catene di Fornitura.

Ciò spiega perché, nel primo caso, gli Sviluppatori e i Promotori Immobiliari avrebbero le migliori condizioni per conseguire questo obiettivo, a patto di voler formalizzare e digitalizzare i Requisiti Informativi, mentre, nel secondo caso, sono proprio i Fornitori Primari a temere che l'istituzionalizzazione di Catene di Fornitura Strategiche tolga loro poteri negoziali, cosicché occorrerebbe che essi adottassero gli approcci propri della Cultura Industriale di stampo manifatturiero della Terza e della Quarta Rivoluzione Industriale.

Nei fatti, la Domanda Pubblica, a differenza della Domanda Privata e dell'Offerta (Provata), che è il soggetto principale della Digitalizzazione secondo il Codice dei Contratti Pubblici, è destinato, invece, a incontrare, come dimostrato dai primi, precari, tentativi, già evocati, non poche difficoltà, a meno che un criterio aggregativo (che a oggi mira a ridurre a poche migliaia il numero delle Stazioni Appaltanti e delle Amministrazioni Concedenti) non riesca a indurre una Economia di Conoscenza, non solo una di Scala.

In ogni caso, tenendo in conto che Information Management e Project Management tendono a essere considerati separatamente anche nei contesti maggiormente evoluti e che entrambe le discipline appaiono piuttosto disertate in Italia (si veda il richiamo nella linea guida ANAC sul RUP alla qualifica di Project Manager per quest'ultimo), è chiaro che i Progetti Piloti dovrebbero attecchire in humus ostili, laddove le apparenze andrebbero a mascherare cosmeticamente prassi affatto diverse.

Soprattutto, nei Progetti Pilota si vorrebbe dimostrare che la trasparenza e la tempestività dei flussi informativi andrebbero a efficientare i processi decisionali, partendo dalla convinzione che le opacità e le incoerenze in essi e tra di essi siano facilmente rimuovibili.

E' qui macroscopico un riduzionismo che cerca di ignorare la complessità della realtà, come se tutti i soggetti dovessero muoversi in modo simmetrico, come se il flusso dello scambio informativo non dovesse mai interrompersi in quanto ciò beneficerebbe chiunque.

Nella realtà, appunto, però le cose non risultano così lineari, così semplificate, poiché, per alcuni, la discontinuità e la opacità dei flussi informativi costituiscono un vantaggio competitivo a cui non si vuole certo rinunciare.

Soprattutto, sia nel versante della Domanda sia in quello dell'Offerta (come dimostra il quadro contrattuale più favorevole al BIM, quello concessorio) gli attori non sempre sono equivalenti, non sempre agiscono sinergicamente, non sempre, perché articolati e provvisori, hanno interesse a sfruttare le efficienze che si potrebbero conseguire, se non in particolari condizioni.

Figurarsi che cosa possa accedere nei quadri contrattuali tradizionali, improntati, per fisiologia, alla Contrapposizione e al Contrasto.

È bene, perciò, non confondere i Progetti Pilota con i Casi Dimostrativi, spesso viziati da pregiudizî positivi che non sono validabili, oltre che attendersi dai primi narrazioni e rendicontazioni disincantate e critiche.

Il BIM, definiamo con questo acronimo per semplicità un universo più vasto di Digitalizzazione, implicherebbe una chiara definizione dei contenuti informativi, sino al punto da giungere a precisare analiticamente le densità informative, misurabili, richieste e ottenute, poiché l'universo dei digit, lo si rammenti, è intrinsecamente numerico.

Una simile ipotesi, da un lato, svelerebbe, tuttavia, la difficoltà di molte Committenze a governare, a «possedere» realmente il controllo del processo, lasciando vuote molte «caselle», mentre, d'altra parte, costringerebbe i Fornitori a uno sforzo qualitativo non banale.

Certo, come dimostrano alcuni casi, tutto ciò è praticabile persino nella distinzione dei ruoli e delle responsabilità (poco coerente con lo spirito collaborativo e integrato del BIM), arrecando notevoli vantaggi in un gioco che sembrerebbe poter divenire a somma positiva.

Epperò, tutto questo comporterebbe vaste dinamiche selettive sia nella Domanda sia nell'Offerta, mentre, proprio accanto alla Separazione dei Ruoli, l'altro principio fondativo del mondo tradizionale degli operatori, è il Vantaggio della Negoziazione, che richiederebbe minore selezione.

Il rischio, dunque, risiede nella confusione tra tentativi di comprendere seriamente le potenzialità, ma anche i limiti, tecnologici, organizzativi e culturali del BIM e operazioni cosmetiche che cercano di introdurre le nuove logiche in contesti antichi, addomesticandole, introducendo racconti fittizi e consolatori.

Si prendano, ad esempio, due finalizzazioni per antonomasia del BIM: la definizione (non solo la stima) delle quantità e la identificazione delle interferenze.

Nel primo caso, infatti, la stima delle quantità non è operazione scontata, richiedendo particolari accorgimenti e, specialmente, dovrebbe essere condotta considerando i criteri successivi di misurazione e la loro possibile semi automazione: dapprima, tramite il rilievo digitale e, successivamente, attraverso la sensoristica, così da oggettivare e da accelerare la remunerazione, in luogo del contenzioso.

Se, infatti, la quantificazione corretta di ciò che si dovrebbe realizzare è fondamentale sia per la Domanda sia per l'Offerta, la vera posta in gioco è altra, vale a dire, è la definizione attendibile e precisa degli esiti quantitativi e qualitativi della produzione tra Ufficio di Direzione dei Lavori e Direzione Tecnica di Cantiere e, soprattutto, la celerità dei pagamenti dei corrispettivi dovuti e la loro ripartizione corretta lungo la Catena di Fornitura.

Nella seconda circostanza, l'identificazione dei conflitti tra oggetti rimanda alla dialettica tra saperi e tra logiche contrattuali, non si esaurisce certo nel rimettere a posto elementi e componenti: se, in effetti, la Clash Detection potrebbe apparire in questo modo (ma, contrattualmente non è detto che sia sempre chiaro a chi competa la rettifica), la Clash Prevention agisce sui soggetti, non sugli oggetti, sui loro punti di vista irriducibili, sui loro gerghi non assimilabili, cerca di affrontare tempestivamente contraddizioni che possono persino generare Valore.

La Modellazione è una interpretazione parziale e soggettiva della Realtà, tanto nella sua rappresentazione quanto nella sua descrizione, sicuramente non è il suo Doppio (ovverossia, la Realtà non è la Replica della Simulazione): che, a sua volta, da essa potrà essere influenzata, oltre che divenire «mista»: ma, comunque, il BIM richiede consapevolezza degli obiettivi e delle finalità.

I Progetti Pilota non potranno certo ignorarlo.

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