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Il degrado e le patologie delle opere in calcestruzzo: gli strumenti per la corretta diagnosi strutturale

In questa nota l’ing. Vincenzo D. Venturi suggerisce, in maniera sintetica, l’approccio che il Professionista deve assumere per raggiungere la corretta diagnosi strutturale delle opere in calcestruzzo, integra queste considerazioni con una selezione di alcune delle tecnologie sperimentali, più comuni e/o tecnologicamente avanzate, disponibili sul mercato, con evidenza delle caratteristiche, dei limiti e degli aspetti che possono condizionare la riproducibilità e la ripetibilità dei risultati.

Come non collegare la “diagnosi” dei fenomeni di degrado, o di dissesto, ed il coerente progetto di recupero e/o consolidamento strutturale all’argomento proposto dal dossier, “Patologie edilizie delle opere in calcestruzzo armato”?

Prima è opportuno premettere che l’approccio strumentale alla diagnosi del degrado del calcestruzzo deve essere sempre subordinato a quella che, rimanendo in ambiente medico, rappresenta “ l’anamnesi“ dello stato di fatto del manufatto.

Ritengo siano intuitive le ragioni del perché è sempre necessario far precedere le attività strumentali da una fase “anamnestica” che preveda almeno:

  • la raccolta e lo studio della documentazione storica e tecnica del manufatto;
  • il sopralluogo ed il rilievo visivo, eseguito con tecniche consolidate e procedure convenzionali sintetizzabili nel catalogo difetti e nella scala di danneggiamento;

infatti, sempre con riferimento all’ambito medico, diversamente dagli “umani” le strutture “non parlano” e questo se per certi versi può essere un aspetto positivo, perché non influenza il “terapeuta”, per l’altro il fatto che la struttura non possa “parlare” può costituire un limite insormontabile per l’eventuale professionista “non esperto”.

Per quanto concerne le procedure convenzionali, oltre alla disponibilità della bibliografia tecnica (rif. bibl. 1, 2, 3, 4, 5, 6), costituiscono uno strumento di grande utilità, anche metodologica, le linee guida di recente pubblicazione: 

Detto ciò, in coerenza con quanto esposto in una mia precedente nota (rif. bibl. 7) e cioé che, come accade per la professione medica che prevede per l’esercizio delle specialità mediche uno specifico percorso formativo, specialistico e certificato, anche la professione dell’ingegnere, sia pure in scala minore, già prevede appositi albi/elenchi per specifiche attività professionali, per esempio per la progettazione e la verifica: 

  • degli impianti antincendio; 
  • degli impianti elettrici; 
  • etc.; 

La delicatezza del ruolo che assume il Professionista che deve diagnosticare una patologia, una fragilità, una vulnerabilità strutturale, sia quando lo fa nella fase preliminare delle ispezioni visive e della analisi della documentazione, storica e tecnica, che quando interviene nella successiva fase del progetto delle attività strumentali di diagnosi strutturale finalizzate a: 

  • caratterizzare la qualità dei materiali; 
  • classificare e quantificare la consistenza del degrado;
  • classificare e quantificare la consistenza del quadro fessurativo; 

impone, in maniera assolutamente coerente, che la formazione di chi si occupa di diagnosi strutturale debba essere disciplinata da un percorso accademico, specialistico e certificato.

L’esito delle attività di diagnosi strutturale deve consentire al Professionista di progettare e di eseguire correttamente gli interventi di consolidamento e di recupero conservativo del manufatto

Essendo queste attività, la diagnosi ed il consolidamento strutturale, connesse con la sicurezza d’uso e la pubblica incolumità, non è peregrino affermare che queste competenze non possono essere genericamente assolte da un altrettanto “generico” ingegnere.

 

L’approccio strumentale alla diagnosi strutturale

Da quando circa 40 anni fa, grazie ad una intuizione dei miei relatori (il prof. Vito Alunno Rossetti ed il prof. ing. Emanuele Filiberto Radogna), la mia carriera di ingegnere strutturista virò verso quella che è oggi la mia attività prevalente, di direttore di una società che ormai da 40 anni si occupa di attività sperimentali di diagnostica strutturale, la tecnologia e la qualità delle indagini strumentali in situ sulle strutture in calcestruzzo ha raggiunto livelli non immaginabili a quel tempo. 

L’argomento che mi era stato proposto allora, cioè la determinazione della resistenza “a posteriori”, consisteva nella valutazione della sicurezza con metodi di livello superiore al primo supportata degli strumenti di indagine diagnostica “in situ” disponibili all’epoca ed inizialmente rispondeva alla esigenza di raccordare la tecnica delle costruzioni con la tecnologia dei materiali.

In realtà anticipò quella sinergia che deve sempre realizzarsi, fra il Professionista che prevede le indagini ed il laboratorio che le esegue, quando si affrontano problemi connessi con le “Patologie edilizie delle opere in calcestruzzo armato”.

Oggi chiunque si cimenti con la diagnostica, in tutti i settori e non solo in quelli dell’ingegneria o tecnici, può disporre di strumenti di indagine potentissimi e tecnologicamente molto avanzati. 

Però se la tipologia di indagine non è coerente con gli obiettivi, se la procedura di prova non è applicata in maniera rigorosa e se i risultati sperimentali non sono elaborati ed interpretati correttamente se, in parole povere, manca il “fattore umano” anche la strumentazione più avanzata si riduce ad un inutile insieme di tecnologia e di materiali.

Le “prove” non “parlano” e quindi la scelta di una tecnologia, di una procedura di prova, dei coefficienti correttivi riconducono ancora una volta, banalmente, alle capacità ed alle competenze del Professionista che le richiede e le interpreta.

In questa nota mi propongo di descrivere in maniera sintetica solo alcune delle tecnologie più comuni, ed in alcuni casi innovative, ad oggi disponibili sul mercato e le ragioni che ne determinano, da parte del Professionista, la scelta, rimandando ad altra sede (rif. bibl. 8) quella per un approccio più ampio ed esaustivo.

Ciascuna tecnica sperimentale, che si prevede in una specifica indagine, deve essere descritta e contestualizzata in una opportuna voce del CSA (Capitolato Speciale di Appalto) (rif. bibl. 8).

La voce del CSA deve fare riferimento ed essere disciplinata: 

  • da una Istruzione Tecnica Operativa (ITO), che deve essere accessibile a tutti gli operatori e deve trovare riscontro nella specifica bibliografia tecnica, più avanti una sintesi non esaustiva, (rif. bibl. 9, 10, 11, 12);
  • da una norma tecnica (UNI, UNI EN, ASTM, BS,.

In tal modo viene garantita la ripetibilità e la riproducibilità dei risultati sperimentali, che consentono in ogni momento dell’intervento di recupero e/o di consolidamento strutturale, dal progetto all’esecuzione delle opere, di ottenere risultati sempre confrontabili a prescindere dall’esecutore delle prove (il laboratorio autorizzato) o da chi le interpreta (il Progettista, il Direttore Lavori, il Collaudatore, l’impresa esecutrice, …).

 

Le tecniche sperimentali di indagine in situ

Il contesto di questa nota, inserita nel più ampio contenitore del dossier, non consente di affrontare né l’analisi di tutti i metodi di indagine oggi disponibili, né la trattazione ampia e dettagliata dei singoli metodi.

Ho ritenuto di proporre una selezione fra le tecniche sperimentali delle quali il Professionista può disporre nella fase del progetto dell’indagine; la selezione risente della formazione di chi scrive e vuole solo fornire uno spunto di riflessione su quello che deve essere:

  • l’approccio, del Progettista dell’indagine, nella scelta del metodo; 
  • le prescrizioni da prevedere, nel progetto dell’indagine; 
  • la conformità della esecuzione alle specifiche di prova, garantita, dal laboratorio che esegue le prove e validata dal DEC (Direttore dell’Esecuzione del Contratto).

Il prelievo di calcestruzzo indurito, integrato della successiva prova di compressione per la determinazione della resistenza, è il primo metodo proposto e rappresenta l’attività cui si fa più spesso ricorso per caratterizzare il calcestruzzo, è considerata da molti avvocati, e giudici, la “prova principe”, la “pistola fumante” e dall’esito negativo del carotaggio è derivata la definizione di “calcestruzzo depotenziato”, definizione scorretta ma mediaticamente fortunata.  

Il prelievo di calcestruzzo indurito è stato anche oggetto di un ricorso al TAR-Lazio. 

Sembrerebbe non esserci altro da aggiungere se non che la prova di compressione su carota è una prova convenzionale il cui valore sperimentale è funzione della qualità del prelievo e quindi: l’indipendenza del laboratorio, la tracciabilità dei prelievi, la qualità dell’esecuzione ed il rispetto delle procedure da parte del laboratorio rappresentano le condizioni necessarie per garantire la ripetibilità e la riproducibilità della prova di compressione.

Inoltre, trattandosi di una tecnica invasiva, nei confronti della struttura, l’ubicazione deve essere operata ponendo l’attenzione alle condizioni per le quali il carotaggio può determinare l’instabilità, come per esempio: il prelievo da pilastri snelli, il taglio delle armature, il prelievo da sezioni molto sollecitate; mentre la numerosità dei prelievi indicata nelle NTC 18 ed assunta in maniera meccanica da molti professionisti ed amministrazioni può penalizzare, strutturalmente, il manufatto anche perché spesso al danno che si determina con il carotaggio non corrisponde un effettivo valore dell’informazione sperimentale.

Per questa ragione si fa ricorso ai cosiddetti controlli non distruttivi, previsti nelle NTC 18 nella misura del triplo dei prelievi che si intende sostituire, fino ad un massimo del 50%, in tal modo si raddoppiano i punti di indagine e si impone l’obbligo, in maniera implicita, della elaborazione della curva di taratura. Non si capisce la ragione per cui il ricorso alla curva di taratura nella elaborazione dei risultati non venga previsto ed imposto in maniera esplicita.

Fra i metodi proposti nelle NTC 18, per la determinazione della resistenza in opera, ci sono la prova sclerometrica (UNIEN 12504-2), la prova di estrazione o pull-out (UNI EN 12504-3) e la prova ad ultrasuoni (UNI EN 12504-4), su queste prove molto è stato detto e scritto e rimando alla sintesi di bibliografia tecnica richiamata in calce (rif. bibl. 9,10,11,12). Ho però posto l’attenzione solo su un particolare tassello ad “espansione geometrica controllata” conforme alle caratteristiche geometriche-dimensionali richieste dalla norma che, rispetto al tassello comunemente impiegato, più commerciale ed il cui uso si è consolidato negli anni, ha una dispersione minima in termini di estrazioni “anomale” oltre ad avere un’ottima correlazione con i risultati della prova di compressione.

 

Il tassello Thoro.

Figura 1 – Il tassello Thoro. (disegni eseguiti dall’arch. S. Lombardo per il volume: “Prove Non Distruttive su nuove strutture e costruzioni esistenti. Guida pratica e capitolato speciale di appalto” S. Bufarini - S. Lombardo - V. D. Venturi. EPC Editore).

 

Le altre tre tecniche proposte: il radar, la tomografia sonica, l’impact echo sono eseguite con attrezzature molto più sofisticate e tecnologicamente avanzate che, rispetto al passato, sono più maneggevoli, più compatte ed a alimentazione indipendente, ma richiedono che il personale che esegue la prova ed interpreta i risultati sia esperto ed adeguatamente formato. 

Il radar, la tomografia sonica, l’impact echo sono nello specifico, connesse e propedeutiche fra loro e consentono la individuazione e la quantificazione di difetti “interni” presenti nelle strutture in c.a. e c.a.p., piuttosto che la mappatura o la misura dello spessore di solette in c.a. o dei rivestimenti delle gallerie.

 

Il prelievo di calcestruzzo indurito o carotaggio

Il prelievo di calcestruzzo, più spesso noto come carotaggio, (UNI EN 12504-1) è la tecnica di indagine più comune e diffusa (foto 2).

 

Il prelievo di calcestruzzo indurito o carotaggio

Foto 2 – Il carotaggio, (foto concessa da Sidercem s.r.l. Istituto di Ricerca e Sperimentazione) 

 

Il carotaggio viene definito come prova diretta ma distruttiva, stante l’invasività e l’irreversibilità del prelievo, il danno è certamente mitigato dal corretto ritombamento del foro che però ripristina la continuità del volume di calcestruzzo estratto ma non lo stato tensionale. 

Il carotaggio prevede l’impegno di almeno due tecnici. Necessita della alimentazione elettrica, da rete o da gruppo elettrogeno. Ha una difficoltà di esecuzione che si può definire bassa.

Durante l’avanzamento la corona deve essere raffreddata ed i detriti di perforazione vengono trasportati fuori dal foro mediante un flusso di acqua continuo. Preliminarmente al taglio si richiede che vengano rigorosamente rispettate alcune semplici prescrizioni: 

  • nell’area interessata dal prelievo si deve eseguire la ricerca con magnetometro (pachometer) ed il tracciamento sulla superficie della armatura (foto 3);

 

Ricerca e tracciamento dell’armatura.

Foto 3 – Ricerca e tracciamento dell’armatura. (foto concessa da Sidercem s.r.l. Istituto di Ricerca e Sperimentazione)

 

  • l’ancoraggio e la stabilizzazione della piastra in posizione ortogonale alla superficie che deve essere perforata;
  • la verifica del consumo della corona diamantata e l’eventuale affilamento della corona su apposita tavoletta;

durante il taglio l’avanzamento della corona deve avvenire con velocità costante, senza strappi, scosse o vibrazioni.

Dopo l’estrazione il campione deve essere identificato mediante l’apposizione di una sigla e riposto in una cassetta, in PVC o legno, munita di separatori in grado di evitare, durante il trasporto, contatti rigidi ed urti con altri campioni o attrezzature.

Il carotaggio nella gran parte dei casi viene richiesto per stimare la resistenza alla compressione del calcestruzzo, in realtà permette, con un minimo sforzo, di determinare anche altri parametri, utili per caratterizzare la qualità del calcestruzzo e la tipologia e la consistenza del degrado. I parametri che si possono ricavare da una carota possono essere di tipo:

  • fisico, come la massa volumica, il Dmax, l’assortimento granulometrico, l’analisi petrografica al microscopio polarizzatore, la penetrazione all’acqua, anche se in questo caso il danneggiamento del campione dopo la prova è irreversibile e non consente di eseguire altre prove, per eseguire le quali deve essere chiaro che bisogna prevedere il prelievo di più campioni; 
  • chimico, la carbonatazione o grado pH, il profilo di penetrazione degli ioni cloruro e dei solfati;

 

La profondità di carbonatazione, metodo della fenolftaleina.

Foto 4 – La profondità di carbonatazione, metodo della fenolftaleina. (foto concessa da Sidercem s.r.l. Istituto di Ricerca e Sperimentazione) 

  • meccanico, come la trazione indiretta, o brasiliana, e la determinazione del modulo secante, anche in questi casi il danneggiamento del campione dopo queste prove è irreversibile e non consente di eseguire altre prove e quindi se si devono eseguire più prove si deve prevedere il prelievo di più campioni.

Il carotaggio, è una attività propedeutica alla esecuzione di prove meno invasive, indirette e parzialmente non distruttive come il pull-out, il pull-off, oppure indirette e non distruttive come le prove sclerometriche, le prove agli ultrasuoni. Nel caso delle costruzioni esistenti la stima della resistenza alla compressione in situ con tecniche non distruttive (UNI EN 12504-2,3,4,) deve avere sempre riscontro in una curva di taratura elaborata dalle misure eseguite sulle carote. Nel caso delle nuove costruzioni la curva di taratura può invece far parte della documentazione fornita dal prefabbricatore, o preconfezionatore, al momento della qualifica della fornitura.

Il carotaggio si può considerare concluso solo dopo avere eseguito correttamente il ripristino, che prevede l’applicazione di un cassero/scivolo (figg. 2a-2b), il versamento della malta antiritiro, autolivellante (fig. 2c), la chiusura del foro e la rimozione del cassero/scivolo (fig. 2d). La malta deve sempre essere “a stabilità volumetrica o “a ritiro compensato”. 

 

Le fasi del ripristino dopo un carotaggio

Figura 2 – Le fasi del ripristino. (disegni eseguiti dall’arch. S. Lombardo per il volume: “Prove Non Distruttive su nuove strutture e costruzioni esistenti. Guida pratica e capitolato speciale di appalto” S. Bufarini - S. Lombardo - V. D. Venturi. EPC Editore).

 

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